lunedì 7 dicembre 2009

giovedì 20 agosto 2009

IL VALORE DEL VOTO

Levitico 27. Un voto fatto all'Eterno poteva costare molto caro.

Riscattare un maschio adulto consacrato al Signore poteva costare cinquanta sicli d'argento ovvero cinquanta mesi di paga (v.3)!

Avere un ripensamento su una terra che avevi consacrata all'Eterno ti costava il valore di quella terra aumentato di un quinto (v.19)! E se facevi finta di niente e vendevi una terra che avevi consacrato a Dio, quando al giubileo tutti gli altri venditori tornavano in possesso delle loro proprietà, la tua terra diventava proprietà del sacerdote e non potevi più riscattarla perché non avevi pagato a suo tempo (v.20).

Lo scopo di questi pagamenti era certamente quello di dissuadere gli uomini dal fare voti alla leggera.


Il voto è un impegno solenne o un giuramento fatto al Signore (Nu 30:2), è un impegno sacro (Pr 20:25).

Il primo esempio di voto nella Bibbia è quello di Giacobbe che, giunto a Betel, disse: "Se Dio è con me, se mi protegge durante questo viaggio che sto facendo, se mi dà pane da mangiare e vesti da coprirmi, e se ritorno sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio e questa pietra, che ho eretta come monumento, sarà la casa di Dio; di tutto quello che mi darai, io certamente ti darò la decima" (Gen 28).

Il voto è un impegno volontario e non un comandamento di Dio.


"Quando avrai fatto un voto al Signore tuo Dio, non tarderai ad adempierlo poiché il Signore, il tuo Dio, te ne domanderebbe certamente conto e tu saresti colpevole; ma se ti astieni dal fare voti non commetti peccato. Mantieni e metti in pratica la parola uscita dalle tue labbra: opera secondo il voto che avrai fatto volontariamente al SIGNORE tuo Dio, e che la tua bocca avrà pronunziato. (De 23:21-23)


«Questo è l'ordine dato dal SIGNORE: quando uno avrà fatto un voto al SIGNORE o avrà con giuramento assunto un solenne impegno, non verrà meno alla sua parola, ma metterà in pratica tutto quello che ha promesso.(Nu 30:2)

È pericoloso per l'uomo prendere alla leggera un impegno sacro,
e riflettere solo dopo aver fatto un voto.(Prov 20:25)

Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare ad adempierlo; perché egli non si compiace degli stolti; adempi il voto che hai fatto.(Ec 5:4)

Agli occhi di Dio la parola data ha un grande valore. Egli dice una cosa e quella cosa esiste. In Dio non c’è mutamento ma la sua parola è pienamente affidabile. Così dev’essere chi ama Dio. Nel Salmo 15 leggiamo che ciò che contraddistingue il giusto è la sua lingua, pura, sincera, che non cambia, nemmeno se ha giurato a suo danno.

In Matteo 5 al v.33 riceviamo istruzioni riguardo al giuramento e all’impegnarsi con Dio tramite giuramento. Da questo passo capiamo che non abbiamo bisogno di impegni solenni per mantenere la parola data ma che un semplice “si” dovrebbe essere vincolante come un giuramento. Non dobbiamo essere superficiali nel parlare e se diciamo un si, così sia.

Anche Dio ha detto un si una volta per sempre in Cristo Gesù. Tutte le sue promesse fatte anticamente nelle Scritture hanno avuto il loro “così sia” in Cristo Gesù. E quale fine avremmo fatto se il parlare di Dio fosse stato allo stesso tempo un si e un no? (2Co 1:17-22)


domenica 19 luglio 2009

CONOSCENZA ECCELLENTE

Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua resurrezione, la comunione alle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla resurrezione dai morti. Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione. (Filippesi)

Paolo non aveva ancora ottenuto quella che qui chiama "perfezione", ma correva verso quella meta.
In passato aveva messo la sua fiducia nelle pratiche del giudaismo sperando di potere ottenere un qualche vantaggio o guadagno alla presenza di Dio. Poi ha capito che questa era solo spazzatura ovvero qualcosa di completamente inutile che non portava alcun tipo di guadagno spirituale.
Ma ora Paolo considera come tanta spazzatura non solo quelle cose ma OGNI COSA.
Egli ha RINUNCIATO A TUTTO, L'UNICA COSA CHE VALE LA PENA GUADAGNARE E' L'ECCELLENZA DELLA CONOSCENZA DI CRISTO GESU'.
Il punto di partenza di questa conoscenza è avere la certezza di essere trovati in Cristo e di non avere da portare davanti a Dio altra giustizia se non la giustizia di Dio che si ha mediante la fede in Cristo.
Ma questa conoscenza è solo l'inizio. Paolo non si accontenta di questo, la sua meta è arrivare all'ECCELLENZA DELLA CONOSCENZA ovvero a una CONOSCENZA ECCELLENTE DI CRISTO. E' evidente che non parla di una conoscenza meramente storica ma profonda e spirituale.
Lo scopo di rinunciare a tutto, guadagnare Cristo e ottenere la giustizia di Dio che si basa sulla fede è il seguente:
1.conoscere Cristo,
2. potenza della sua resurrezione,
3. la comunione alle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte.
La celeste chiamata di Dio in Cristo Gesù è afferrare queste cose (per le quali siamo già stati afferrati da Cristo) mentre ci apprestiamo a giungere alla resurrezione dei morti nel miglior modo possibile.
Ancora una volta, come per l'esercizio della pietà nella prima lettera a Timoteo, il paragone è quello sportivo. Ci vuole da parte nostra la determinazione di voler ottenere questa ECCELLENTE CONOSCENZA senza scoraggiarsi lasciandosi alle spalle il passato, le cadute, gli
insuccessi, proseguiamo la corsa, non smettiamo di correre.
La nostra meta della chiamata celeste è riassunta in questi tre punti:
1. conoscere Cristo
la nostra aspirazione dev'essere quella di accrescere in noi la consapevolezza e l'apprezzamento per la persona di Cristo, per le ricchezze che abbiamo ottenuto in lui, per la sua gloria, la sua
grandezza, la dimensione del suo amore.
2. la potenza della sua resurrezione
la resurrezione di Cristo è la nostra potenza. La potenza del Cristo Risorto vive in noi per guidarci nel compiere la volontà di Dio mediante lo Spirito Santo che abbiamo ricevuto. Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi (Atti 1). Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque. (Mt 28). Siamo consapevoli di questa ricchezza che abbiamo ricevuto quando Dio ci chiama a fare la sua volontà?
3. la comunione alle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte
L'aspirazione suprema di un figlio di Dio è poter avere l'onore di soffrire per Cristo come Cristo ha sofferto per noi. Questo non vuol dire cercare contese per farsi perseguitare. Ma crescendo in noi le realtà descritte nei punti precedenti non saremo delle piante sterili
ma pieni di zelo per le cose di Dio. Compiere la volontà di Dio può far soffrire il nostro corpo, può essere causa di sofferenza interiore o addirittura provocare una persecuzione esterna nei nostri confronti.
Tutto questo non dev'essere motivo di tristezza ma di suprema gioia nell'avere l'onore di poter soffrire e/o morire come il nostro Signore.

Paolo stesso non si credeva di aver già ottenuto questa conoscenza ECCELLENTE di Cristo ed esorta se stesso e tutti i credenti a non tirarsi indietro e coltivare il desiderio di raggiunger questa meta ciascuno dal punto in cui è arrivato.

giovedì 16 luglio 2009

LA PIETA'

ma rifiuta le favole profane e da vecchie, esercitati (allenati)
invece alla pietà, perché l'esercizio fisico è utile a poca cosa,
mentre la pietà e utile ogni cosa avendo la promessa della vita
presente e della vita futura. (1Tim 4:8)

COS'E' LA PIETA'
il termine tradotto con pietà può essere anche tradotto come devozione.
Nel termine originario la pietà non è semplicemente una pratica
esteriore ma un atteggiamento interiore che si rispecchia di rimando
nella pratica esteriore.
Questo atteggiamento interiore ha come fondamento tre componenti:
il timore di Dio
la consapevolezza dell'amore di Dio
il desiderio di Dio
Un uomo o una donna di Dio che coltiva nel suo cuore la percezione
delle prime due realtà, accrescerà la sua sete di Dio e avrà di
rimando una vita pura.
Pensando ad una vita pietosa pensiamo di solito ad un comportamento
ineccepibile, ma una vita pietosa è prima di tutto un rapporto
personale con Dio. Molte persone possono esercitarsi nella buona
condotta ma senza avere un rapporto di pietà (devozione) con Dio.
Dio vuole che siamo persone pietose.

La Parola ci parla della pietà di Enoc con poche parole:
Enoc camminò con Dio (Genesi 5)
Enoc piaceva a Dio (Ebrei 11)
Enoc predicava la venuta del Signore (Giuda)
Nel libro della Genesi Dio non ci spiega cosa Enoc facesse per
camminare con lui. Non c'è scritto semplicemente che camminava secondo
Dio ma che camminava con Dio, mano nella mano, a fianco di Dio,
insomma si parla di un rapporto intimo tra Enoc e Dio,per questo Dio
lo portò via con sè.
L'autore della lettera agli Ebrei ci spiega che Enoc piaceva a Dio
perché Egli aveva una forte consapevolezza di chi è Dio e si accostava
a lui in piena certezza di fede. In altre parole: temeva Dio, era
consapevole dell'amore di Dio e desiderava Dio (= si accostava a lui).
Solo nella ultime pagine della Bibbia veniamo a sapere cosa ha fatto
Enoc. Ma questo ha quasi un'importanza secondaria nel definire la sua
devozione a Dio. E' una conseguenza. Ma ciò che Dio gradiva era il
rapporto che c'era tra di loro.

LA PIETA' RICHIEDE ALLENAMENTO
Nel passo di apertura viene infatti paragonata all'allenamento
sportivo. Se lo sport è utile a poca cosa dal punto di vista
dell'eternità perché può rinvigorire il nostro corpo solo per un certo
tempo della vita terrena, l'allenamento della pietà è di utilità
eterna perché in essa sono le promesse della vita presente e della
vita futura. Come lo sport per far questo ci vuole impegno
(responsabilità personale), un allenatore (lo Spirito Santo) e molta
pratica.
Gran parte di questa pratica, trattandosi di un rapporto con Dio, va
giocata con la Parola di Dio (la conoscenza della verità è conforme
alla pietà, Tito 1:1), non per approfondire una conoscenza
intellettuale delle realtà bibliche, ma per crescere il nostro timore
di Dio, la nostra consapevolezza del suo amore e accrescere in noi il
desiderio di Dio con la guida dello Spirito Santo.
La Parola di Dio va ascoltata (nei messaggi), letta (lettura
dell'intera bibbia), studiata (andare in profondità su un certo
tema), memorizzata e meditata (meditare = mormorare, lamentarsi o parlare a sé stessi. Ciò che memorizziamo va meditato giorno e notte e le nostre meditazioni scritte ci possono aiutare a coglier qualcosa in più).

Lo scopo dell'allenamento è "guadagnare" la pietà: la pietà con animo contento del proprio stato è un gran guadagno (1 Tim 6:6).

giovedì 4 giugno 2009

ANIMALI PURI E IMPURI

In Levitico 11 e nel passo parallelo di Deuteronomio 14 vengono elencati gli animali puri e gli animali impuri. Questa differenziazione non è una novità della legge di Mosè (che ha provveduto a metterla per iscritto) ma già veniva fatta, per esempio, ai tempi della Genesi.
Quando il Signore parlò a Noè disse (Genesi 7:2-3): Di ogni specie di animali puri prendine sette paia, maschio e femmina; e degli animali impuri un paio, maschio e femmina. Anche degli uccelli del cielo prendine sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza sulla faccia di tutta la terra. Quindi a Noè qualcuno aveva già spiegato questa distinzione perché Dio gli parla dando la cosa per scontata. Forse questa conoscenza risale ai tempi di Adamo e della caduta quando Dio coprì di pelli la nudità dell’uomo. Queste pelli provengono da un sacrificio animale, forse in quell’occasione Dio fece distinzione tra animali graditi per il sacrificio e non. Anche Abele offerse in sacrificio a Dio un animale puro (primogenito di pecora) e il suo grasso.
Gli animali puri espressamente elencati in Deuteronomio 14 sono (v.4): il bue, la pecora, la capra, il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l’antilope, il capriolo e il camoscio. Tutti gli animali puri avevano in comune tre cose: (Le 11:3) l’unghia spartita, il piede forcuto e la ruminazione. Il coniglio, il maiale e il cavallo che alcuni di noi mangiano sono dunque animali impuri. Alla lista dei puri si aggiungono anche gli animali acquatici con pinne e squame. Sono dunque bandite le cozze, le vongole, i gamberetti, l’anguilla, che comunemente mangiamo. Lo struzzo che di recente è entrato di moda è un animale impuro. Sono invece puri animali che non avremmo nemmeno il coraggio di assaggiare come le cavallette, le locuste e i grilli. Anche il cane e il gatto che oggi sono i migliori amici dell’uomo sono animali impuri.
Possiamo dunque cercare di comprendere come dovrebbe sentirsi un ebreo ortodosso in mezzo a una società come la nostra. Distinguere il puro dall’impuro è una faccenda che richiede grande attenzione e costringe a distinguersi dal mondo che ci circonda.
In effetti era proprio questo lo scopo che si prefiggeva questa prescrizione di Dio:
(Deut 14:1) Voi siete figli per il Signore vostro Dio; non vi fate incisioni addosso e non vi radete tra gli occhi per un morto, poiché tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio. Il Signore ti ha scelto perché tu sia il suo popolo prediletto tra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Non mangerai nessuna cosa abominevole.
Dio dunque prescrisse queste norme perché il popolo si distinguesse dalle nazioni circostanti. Come loro dovevano distinguere tra animali puri e impuri così Dio faceva distinzione tra Israele e tutte le altre nazioni. Ecco perché gli stranieri venivano anche paragonati ai cani (Mt 15:26).
In Atti 10 leggiamo di una svolta storica da questo punto di vista. Pietro è invitato in visione da Dio a mangiare da una tovaglia discesa dal cielo ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo. La voce a lui rivolta diceva: le cose che Dio ha purificate, non farle tu impure. Questa visione non dimostrava semplicemente che tutti i cibi sono diventati puri per coloro che credono in Cristo (1Tim 4:3-5), ma soprattutto che (Atti10) “nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato” , “che Dio non ha riguardi personali ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito” e (Atti11) “Dio ha concesso il ravvedimento anche agli stranieri affinché abbiano la vita”.
In Efesini 2 è ulteriormente spiegato questo miracolo di Dio. “Dio ha vivificato anche voi, che un tempo eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati” “Perciò ricordatevi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi” “ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù voi che eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo” “perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito” “voi pure entrate a far parte dell’edificio che ha da servire come dimora di Dio per mezzo dello Spirito” cioè della chiesa. Nel corpo di Cristo non c’è più distinzione tra ebrei e stranieri così anche la rappresentazione di questa realtà (la distinzione tra animali puri e impuri) non ha più valore e un Ebreo che crede in Cristo può mangiare tutte le cose buone che Dio ha creato con ringraziamento e così lo straniero non è costretto ad astenersi.
Allora il credente non ha più nulla a che fare con il puro e l’impuro? No. Anche il cristiano è esortato a distinguere tra giustizia e ingiustizia, tra fedele e infedele, tra Cristo e Satana, fra il tempio di Dio e gli Idoli. In 2Co6:17 questa realtà è paragonata a quella distinzione che una volta si faceva tra animale puro e animale impuro. Ogni figlio di Dio è chiamato allo stesso rigore nel discernere la volontà di Dio ed evitare ogni cosa che ci possa soggiogare all’infedele. Il giogo era un vincolo che costringeva due animali a fare lo stesso percorso. Anche noi dobbiamo evitare ogni legame che ci costringerebbe a fare un compromesso con un infedele a scapito della parola di Dio per esempio un matrimonio, una società, un’amicizia profonda, un patto, un certo contratto, una qualsiasi cosa che per farla richieda assoluta concordia, sintonia di cuore . “Quale rapporto...quale comunione...quale accordo...quale relazione...quale armonia” potrebbe mai esservi? “Non vi ingannate: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi” 1Co 15:33.

giovedì 21 maggio 2009

LA GRAZIA

molti dolori subirà l’empio
ma chi confida nel SIGNORE sarà circondato dalla sua grazia (Sl 32:10)

in questo versetto è evidente la contrapposizione di due realtà LA GRAZIA e IL DOLORE, la prima circonda colui che confida nel SIGNORE il secondo caratterizza la vita di colui che non teme Dio. Essere nella grazia significa dunque ottenere i favori di Dio, essere in una situazione di favore da parte del SIGNORE. La cosa più bella è che il SIGNORE è pronto ad accordare il suo favore non a chi gli contraccambia qualcosa o a chi a sua volta gli rende un favore ma semplicemente a chi è disposto mettere la propria fiducia in Lui.
Dio è pronto a circondare della sua grazia chiunque sia disposto a confidare in lui. Fuori dalla grazia di Dio esiste solo dolore.

Non esiste solo la grazia di Dio. E’ possibile infatti ottenere anche la grazia, cioè il favore, di un uomo. La principale differenza tra la grazia di Dio e la grazia di un uomo è che quest’ultima in molti casi si conquista con doni o ricchezze. Un esempio lo abbiamo in Genesi 32. Giacobbe manda a dire a suo fratello Esaù che aveva voluto farlo morire: “ho buoi, asini, pecore, servi e serve; lo mando a dire al mio signore, per trovare grazia ai tuoi occhi” (v.5). E’ interessante notare dal contesto che il concetto di grazia sottintende l’idea di trovare il favore di qualcuno che “normalmente” dovrebbe essere in collera o irato con noi. Più avanti Giacobbe afferma (v.20): “io lo placherò con il dono che mi precede e dopo soltanto mi presenterò a lui; forse mi farà buona accoglienza”. In Genesi 33 leggiamo ancora: (v.8) allora Esaù disse: <> Giacobbe rispose: <> ... (v.10) <>. Sembra quasi che Giacobbe stia dicendo: “con lo stesso timore che un uomo deve avere ad accostarsi al volto di Dio per non essere distrutto dalla sua ira, così io mi sono accostato a te cercando di ricevere il tuo favore (o grazia) facendomi precedere dai miei doni nella speranza che questi placassero la tua ira”.

Dio può accordare diverse grazie:
la grazia di concepire e partorire dei figli (contrariamente a quanto il mondo o il nostro “buon senso” ci induce a pensare, avere dei figli è una grazia di Dio - Rut 4:13; Sl 128: Lu 1:57-63)
la grazia di esaudire una preghiera (1Re 13:6)
la grazia di non essere completamente distrutti per la fedeltà di Dio al suo patto (2Re 13:23, Esdra 9:8)
la grazia di ottenere salvezza dai propri nemici (Sl 109:26);
la grazia di comprendere la sua parola (Sl 119:29);
la grazia del Signore Gesù (At 15:11) ovvero la grazia della giustificazione gratuita mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (Rm 3:24): è questa la grazia delle grazie, a questa grazia si riferisce per lo più il nuovo testamento quando usa la parola “grazia”.

Il termine “grazia” non ha dunque lo stesso preciso significato in tutti i brani delle scritture, in alcuni passi per esempio più che “favore” significa “bellezza” (o bene) fisica o interiore (“Cerva d’amore, capriola di grazia, le sue carezze t’inebrino in ogni tempo, e sii sempre rapito dell’affetto suo” Pr 5:19, “la donna che ha grazia riceve onore, e gli uomini forti ottengono la ricchezza” Pr 11:16, “le parole della bocca del saggio sono piene di grazia” Ecl 10:12, “la sua grazia è come il fiore del campo” Is 40:6, ecc...).

La GRAZIA nel Nuovo Testamento è innanzitutto la grazia che Dio ci ha fatto di cancellare i nostri peccati, stornando a noi la meritata condanna per farla ricadere sul suo amato figliolo. Per fare una similitudine con Giacobbe che sentiva di doversi presentare davanti a Esaù come davanti al volto di Dio, anche noi un tempo non potevamo avvicinarci a Dio a causa dei nostri peccati perché l’ira di Dio era su di noi. Ma Dio stesso ha condotto davanti a noi un dono (il sacrificio del Signore Gesù) affinché potessimo trovare grazia agli occhi di Dio. Così la differenza tra la grazia che poteva concedere Esaù e la grazia di Dio sta proprio nella completa gratuità di questa grazia che non può essere acquistata con altro “dono” se non quello che Dio ha provveduto nel sacrificio di Cristo. Non siamo salvati dall’ira di Dio perché presentiamo buoi o ricchezze ma perché Dio ha provveduto presentando per noi il figlio Gesù sulla croce.

La GRAZIA nel Nuovo Testamento è anche una capacità spirituale (es. carisma) che Dio conferisce a CIASCUN credente (graziato) individualmente che consiste nel saper fare qualcosa che ha a che fare con il piano di Dio per la diffusione a tutti gli uomini della buona notizia (vangelo) della grazia di Dio. Questo piano coinvolge in primo luogo l’edificazione della chiesa che fortificata è in grado di portare la sua luce e convincere il mondo della grazia di Dio. Per esempio Paolo, parlando del suo servizio, dice “secondo la grazia che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento” 1Co3:10, “ma do il mio parere come uno che ha ricevuto dal Signore la grazia di essere fedele” 1Co7:25, “ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me” 1Co15:10, “Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza di esserci comportati nel mondo, e specialmente verso di voi, con la semplicità e la sincerità di Dio, non con sapienza carnale ma con la grazia di Dio” 2Co1:12, “ io ringrazio sempre il mio Dio per voi, per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di conoscenza, essendo stata confermata tra di voi la testimonianza di Cristo; in modo che non mancate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”1Co 1:4, e molti altri passi. E’ importante sottolineare che questa grazia è data a ciascun credente secondo la misura stabilita da Dio: Ef 4:7 “ma a ciascuno di noi questa grazia è stata data secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: salito in alto egli ha portato con sé dei prigionieri e ha fatto dei doni agli uomini”, 1Pi 4:10 “come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il carisma che ha ricevuto, lo metta al servizio degli altri”.

Questa “seconda” GRAZIA è in realtà qualcosa che non si può assolutamente dissociare dalla “prima”. Potremmo dire che la grazia è una sola. Chi è stato graziato da Dio manifesta la grazia nella sua vita e questa grazia è fruttuosa solo se resta strettamente legata alle sue radici, a quella grazia che gratuitamente un giorno ci ha giustificati in Cristo Gesù. Tutta la forza che desideriamo per compiere la volontà di Dio nella nostra vita non risiede in noi stessi, ma viene da Dio e si nutre nella memoria della grazia ricevuta in Cristo una volta per sempre. “Tu dunque, figlio mio, fortificati nella grazia che è in Cristo Gesù” 2Ti 2:1, “è bene che il cuore sia reso saldo dalla grazia, non da pratiche...”Eb13:9, “vi ho scritto brevemente attestando che questa è la vera grazia di Dio; in essa state saldi” 1Pi5:12 “crescete nella grazia” 2Pi3:18.

L’ultimo versetto della Bibbia è proprio questo “la grazia del Signore Gesù sia con tutti”.

mercoledì 1 aprile 2009

Le Feste Annuali

Levitico 23 descrive le sette feste solenni comandate da Dio al popolo d’Israele.
La prima di queste è la festa settimanale del riposo o sabato.
Le altre sei sono invece feste che venivano celebrate una volta all’anno.
Premesso che il primo mese del calendario sacro era il mese di Nisan (all’incirca corrispondende al nostro Aprile), le feste annuali possono essere divise in due gruppi:

LE FESTE DEL PRIMO SEMESTE (PRIMAVERA-ESTATE):
  1. LA PASQUA all’imbrunire del 14 giorno di Nisan, secondo il comandamento di Esodo 12, ogni famiglia immolava un agnello scelto quattro giorni prima e col sangue aspergeva gli stipiti e l’architrave della porta di casa per commemorare quando il Signore “passò oltre (pasqua=passare oltre) le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case” (Es12:25).
  2. GLI AZZIMI per sette giorni dalla pasqua era bandita ogni forma di lievito nelle case
  3. LE PRIMIZIE l’ottavo giorno dalla pasqua cioè il giorno dopo la fine degli azzimi si dedicava all’Eterno il primo fascio di spighe della mietitura dell’orzo. Se il primo fascio (la primizia) non veniva consacrato nessuno doveva mangiare del raccolto.
  4. LA PENTECOSTE o FESTA DELLA MIETITURA o DELLE SETTIMANE sette settimane dopo la festa delle primizie
LE FESTE DEL SETTIMO MESE (AUTUNNO)
  1. LE TROMBE il primo giorno del settimo mese
  2. LE ESPIAZIONI il decimo giorno del settimo mese
  3. LE CAPANNE o TABERNACOLI per sette giorni dal 15 del settimo mese gli Israeliti vivevano in capanne per commemorare la liberazione dall’Egitto quando, nel deserto, Israele viveva nelle tende, ma anche per festeggiare l’Eterno per i frutti della terra ricevuta.
Quale valore hanno queste feste per un cristiano? Siamo tenuti a festeggiarle?
Le Scritture, nella lettera ai Galati (es. 3:23-4:12), ci spiegano quale fosse la funzione della legge. Non solo: Paolo riprende seriamente i Galati che festeggiavano queste feste giudaiche. Egli afferma con stupore: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni, anni! Io temo di essermi affaticato invano per voi!”. In questo passo l’apostolo ispirato dallo Spirito Santo afferma che la legge (con i suoi rituali) non era altro che un tutore il cui compito era quello di condurci all’età matura (la fede, quando questa sarebbe stata manifestata in Gesù Cristo). Quando siamo sotto un tutore egli è praticamente il nostro padrone e noi dobbiamo fare tutto quello che lui ci dice, ma quando diventiamo maggiorenni il tutore non ha più alcuna autorità su di noi e noi possiamo di diritto ricevere la nostra eredità. La legge, con le sue feste, rappresentava con cose materiali (elementi del mondo) realtà spirituali che non potevamo capire finchè non venne manifestata la grazia.
Nella lettera ai Colossesi 2:16 leggiamo: “nessuno vi giudichi rispetto a (perchè non festeggiate) ... feste, a noviluni e a sabati” e più avanti (v.23): “quelle cose ... non hanno alcun valore servono solo a soddisfare la carne”.
Il rispetto del calendario sacro dell’antico testamento aveva un grande valore pedagogico prima della venuta del Cristo, ma oggi nella vita di un credente può solo portare il figlio di Dio sotto la schiavitù della legge dalla quale è stato affrancato.
Feste, noviluni e sabati sono l’ombra di cose che dovevano avvenire, ma il corpo (cioè la realtà) è in Cristo (Cl 2:16).
Vediamo dunque di seguire “l’ombra” proiettata da queste “feste” per vedere, con l’aiuto delle scritture, quali "cose dovevano avvenire":

LE FESTE DEL PRIMO SEMESTE (PRIMAVERA-ESTATE):
  1. LA PASQUA ovvero l’agnello pasquale è Cristo (1 Co 5:7; 1 Pi 1:19)
  2. GLI AZZIMI la santificazione di chi appartiene a Cristo (1 Co 5:6-8; Ga 5:7-9)
  3. LE PRIMIZIE Cristo è la primizia dei risorti (1 Co 15:20-24)
  4. LA PENTECOSTE o FESTA DELLA MIETITURA o DELLE SETTIMANE la nascita della chiesa con la venuta dello Spirito Santo (At 2:1-4)
LE FESTE DEL SETTIMO MESE (AUTUNNO) sembrano rappresentare realtà che si realizzeranno negli ultimi giorni ma che, ad ogni modo, hanno già il loro “Amen” in Cristo.
  1. LE TROMBE suonano quando il popolo di Dio viene convocato. Una tromba suona quando in 1 Te 4:13-18 si compie la prima parte della resurrezione dei giusti chiamata “rapimento”. In Is 27:13 suona in occasione del ritorno di Israele dalla dispersione tra le nazioni. In Gioele 2:1-3:11 suona per adunare il popolo e portarlo al pentimento.
  2. LE ESPIAZIONI per il residuo d’Israele pentito è pronta in Cristo l’espiazione del peccato (Za 12:10-13:2)
  3. LE CAPANNE o TABERNACOLI Cristo stesso metterà la sua “tenda” nell’Israele salvato e la festa delle capanne diventerà una festa perenne che tutte le nazioni dovranno celebrare (Za 14:16).

Ecco il TABERNACOLO di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate. Apocalisse 21:3-4.

domenica 15 marzo 2009

Il Manuale dei Sacrifici

I primi sette capitoli del Levitico possono essere intitolati “il manuale dei sacrifici”. Per non smarrirsi nella lettura di questo manuale è necessario capire come è stato strutturato.
Innanzi tutto dobbiamo partire dal titolo di questo manuale che, come spesso accade nei testi biblici, è messo alla fine anziché all’inizio come ci verrebbe naturale pensare. In Levitico 7:37 (numerazione della traduzione “nuova riveduta”) leggiamo infatti: “Questa è la legge dell’olocausto, dell’oblazione, del sacrificio espiatorio, del sacrificio per il peccato, della consacrazione e del sacrificio di riconoscenza: legge che il SIGNORE diede a Mosè sul monte Sinai il giorno che ordinò ai figli d’Israele di presentare le loro offerte al SIGNORE nel deserto del Sinai” . Vengono dunque descritti al popolo d’Israele cinque modi per fare offerte al SIGNORE:
  1. L’OLOCAUSTO
  2. L’OBLAZIONE
  3. IL SACRIFICIO ESPIATORIO PER IL PECCATO (INVOLONTARIO)
  4. IL SACRIFICIO DELLA CONSACRAZIONE O PER LA COLPA RIGUARDO A CIO’ CHE DEV’ESSERE CONSACRATO
  5. IL SACRIFICIO DELLA RICONOSCENZA O DEL RINGRAZIAMENTO
Un’altra cosa da capire è che questo manuale è diviso in due parti: la prima per tutto il popolo (1:2 “parla ai figli d’Israele”) e la seconda per i sacerdoti (6:2 “ad Aronne e ai suoi figli”). In entrambe le sezioni si parla di questi sacrifici ma in una piuttosto che nell’altra se ne approfondiscono gli aspetti che possono interessare l’uomo del popolo piuttosto che il sacerdote. Compreso questo, la nostra lettura dovrebbe risultare semplificata.
L’OBLAZIONE consiste in una presentazione di grano od orzo preparati in diverse maniere. E’ l’unico sacrificio che non prevede la morte di un animale (incruento) e quasi sempre accompagnava un sacrificio con spargimento di sangue (cruento).
L’OLOCAUSTO E IL SACRIFICIO DI RINGRAZIAMENTO hanno alcuni aspetti in comune. Per esempio entrambi non sono sacrifici per il perdono dei peccati ma per così dire sacrifici di consacrazione a Dio. Nel primo caso si dedicava (bruciandola sull’altare) la vittima dell’offerta completamente a Dio, nel secondo caso si presentava a Dio un’offerta incruenta (es. la decima) abbinata ad un sacrificio la cui vittima, dopo aver fatto bruciare sull’altare grasso e interiora, veniva in parte mangiata dal sacerdote e in parte dalla famiglia del sacrificatore in luogo sacro. Questi due sacrifici prevedono lo spargimento di sangue, ma solo all’esterno del tabernacolo nella regione dell’altare.
IL SACRIFICIO PER IL PECCATO E QUELLO PER LA COLPA erano invece sacrifici per il perdono dei peccati. Quello per il peccato era un sacrificio che copriva solo i peccati involontari. Se questo peccato aveva coinvolto il sacerdote o l’intera comunità il sangue della vittima veniva sparso fin dentro alla tenda di convegno di fronte alla cortina, se invece aveva coinvolto uno dei capi o qualcuno del popolo il sangue veniva sparso solo nei pressi dell’altare. Il sacrificio per la colpa veniva fatto invece nei casi di appropriazione indebita nei confronti di un uomo o nei confronti di Dio (cap.5) prevedeva la restituzione del dovuto e il sangue della vittima veniva sparso solo nei pressi dell’altare.
Per tutti gli altri peccati “volontari” per deliberata ribellione nei confronti di Dio, non c’era sacrificio fino al giorno dell’espiazione (Le16) e il peccatore poteva solo fare appello unicamente alla compassione di Dio (come Davide nel salmo 51:1,3,16-17).
LA FESTA ANNUALE DELLE ESPIAZIONI (Le16) era l’unico momento in cui il sangue del sacrificio arrivava al di là della cortina direttamente alla presenza del SIGNORE e bagnava il propiziatorio cioè il coperchio dell’arca che copriva la legge. In quell’occasione tutti i peccati della nazione venivano perdonati (v.16) e allontanati nel deserto tramite il capro espiatorio destinato ad Azazel.
La carne dei sacrifici per il perdono dei peccati restava come cibo per il sacerdote tranne nei casi in cui il sangue della vittima fosse entrato nella tenda di convegno (6:17-23). Il corpo di una tale vittima andava interamente bruciato fuori dall’accampamento. In Ebrei 13:11-15 Gesù viene paragonato al corpo del sacrificio del giorno delle espiazioni che santifica tutto il popolo. Anche noi veniamo esortati ad andare a lui e, seguendo il suo esempio, ad essere anche noi dei sacrifici viventi (Rm 12) offrendo a Dio i nostri corpi per fare il bene e le nostre labbra per lodarlo e confessare il suo nome (Eb 13:15).
Come leggiamo in Ebrei 10, Cristo è venuto per sostituirsi a tutti questi “sacrifici, offerte, olocausti, sacrifici per il peccato che sono offerti secondo la legge” (v.8) che non erano in grado di soddisfare la giustizia di Dio (se non tramite la fede nel Cristo venturo) né tanto meno di sgravare la coscienza del peccatore dal proprio peccato.
Egli con un’unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati.(v.14)

mercoledì 4 marzo 2009

La preghiera del giusto e la risposta del Signore degli Eserciti

Gli ultimi tre capitoli del libro di Isaia riportano in profezia la preghiera di un popolo deportato che si rivolge a Dio nella speranza della liberazione e la risposta di Dio a tale invocazione.

Questa preghiera parte con un’invocazione del ricordo delle bontà di Dio nel tempo passato (63:7-14). Senza una tale premessa nessun credente potrebbe accostarsi con fede per fare una qualsiasi richiesta a Dio. Il ricordo delle sue bontà, invece, riempie il nostro cuore di speranza sapendo che come Dio è intervenuto potentemente in passato così interverrà ancora per aiutarci nel futuro. Le bontà rievocate dal profeta riguardano la grande liberazione che il Signore degli Eserciti attuò per il popolo d’Israele ai tempi di Faraone. In questi versetti ben tre volte viene nominato lo Spirito Santo:
v.10 “essi contristarono lo Spirito santo”. Lo Spirito Santo si rallegra o rattrista in base al comportamento del credente. Questo ci rimanda ad Ef 4:25-32. Allora lo Spirito Santo abitava in mezzo al popolo di Dio (Is 63:11) oggi abita nel cuore stesso del credente, eppure oggi come allora Egli gioisce o s’indigna in base alla condotta del cristiano.
v.11-12 “fece andare il suo braccio glorioso”. Lo Spirito Santo ha tutta la potenza necessaria a compiere le opere di Dio. Questa forza è oggi una risorsa presente in ogni figlio di Dio. (At 1:8)
v14 “lo Spirito del Signore li condusse al riposo”. Lo Spirito Santo è per noi la guida di Dio in tutta la verità (Giov 16:12).

La preghiera di Isaia si volge quindi alla misera condizione del popolo: v19 “noi siamo diventati come quelli che tu non hai mai governati, come quelli che non portano il tuo nome!” e si conclude con la richiesta di un intervento diretto da parte di Dio: v.64:1 “Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi!”.

Dio non manca di rispondere a questa preghiera e la sua risposta può essere riassunta così (Is 65:8-12): “Come quando si trova del frutto in un grappolo, si dice: non lo distruggere perché lì c’è una benedizione”, così farò io per amore dei miei servi, e non distruggerò tutto. Io farò uscire da Giacobbe una discendenza e da Giuda un erede dei miei monti; i miei eletti possederanno il paese, i miei servi vi abiteranno... Ma voi che abbandonate il Signore... io vi destino alla spada”. C’è un residuo fedele (Rm11) che benché partecipi alla punizione del popolo ne sopravviverà per entrare in gloria nei “nuovi cieli e nuova terra” (Is 65:17-66:22) che Dio ha preparato per coloro che lo amano.

(-fine-)

mercoledì 18 febbraio 2009

Il Signore degli Eserciti decide di entrare in battaglia

Dal capitolo 56:9 fino al capitolo 59 il profeta elenca le colpe del popolo di Dio:
Le guide di Giuda non provvedono ai bisogni spirituali del popolo ma sono concentrate sui loro propri interessi;
  • Vogliono “godersi al vita” senza preoccupazioni (56:11-12);
  • Il popolo di Dio pratica la magia;
  • L’adulterio e la prostituzione sacra (e non); 
  • Ogni sorta di idolatria; (57:3-etc.);
  • Cerca la protezione nella potenza di re stranieri anziché nella potenza di Dio; (v.9);
  • Pensa di prendere piacere a ricercare le vie di Dio, tramite digiuni e pratiche religiose ma in realtà ha abbandonato la pietà trascurando i bisogni dei fratelli più poveri (58); 
  • Accusa anziché perdonare o confessare i propri peccati;
  • Parla con menzogna; (v.9); (59:15)
  • Perseguita chi si allontana dal male (59:15).

Il peccato dell’uomo si erge come una barriera insormontabile tra lui e Dio, tanto che Dio nasconde la sua faccia e non dà più ascolto alla voce dell’uomo (59:1-2); Dio è profondamente dispiaciuto della mancanza di rettitudine e stupito che nessuno intervenga per porre un freno (59:15-16).

Per questo motivo il Signore degli Eserciti decide di entrare in battaglia in prima persona indossando la corazza della giustizia, l’elmo della salvezza, l’abito della vendetta, il mantello della gelosia (59:16-18):
Giustizia e Salvezza tramite il Salvatore che viene da Sion (v.20) a tutti gli oppressi e umili di spirito che desiderano ravvedersi dalle loro vie inique (57:14-19);
Gelosia e Vendetta a tutti gli avversari (59:18-19).

Leggiamo in Isaia 61:
1 Lo spirito del Signore, di DIO, è su di me,
perché il SIGNORE mi ha unto per recare una buona notizia agli umili;
mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato,
per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,
l'apertura del carcere ai prigionieri,
2 per proclamare l'anno di grazia del SIGNORE,
il giorno di vendetta del nostro Dio;
per consolare tutti quelli che sono afflitti;
3 per mettere, per dare agli afflitti di Sion
un diadema invece di cenere,
olio di gioia invece di dolore,
il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto,
affinché siano chiamati terebinti di giustizia,
la piantagione del SIGNORE per mostrare la sua gloria.
Questo è il brano che lesse Gesù nella sinagoga di Nazaret fino alla prima parte del versetto 2, poi arrivato alle parole “anno di grazia del Signore” chiuse il libro e disse: “oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi udite”. (Luca 4:16-21).
La prima venuta di Gesù, la sua morte, la sua resurrezione e la sua ascesa al cielo hanno aperto l’anno di grazia del Signore. L’arca della salvezza è oggi aperta per chiunque voglia credere ed entrare come lo era l’arca di Noè che predicava la giustizia prima del diluvio (2 Pietro 2:5). Ma il giorno della vendetta è ormai alle porte e se Dio non sopportava il peccato dei tempi di Giuda, quale potrebbe essere il suo stato d’animo oggi, mentre dal Cielo osserva la strada che senza freno sta percorrendo la nostra società moderna?
Lo stesso Servo sofferente di Isaia 53 tornerà per il giorno della vendetta descritto in Isaia 63. Egli verrà per sterminare dalla terra tutte le potenze pagane schierate contro Dio radunate in Harmaghedon da spiriti immondi (Ap 16:12-16; 29:11-21) e stabilire il suo regno di gloria in Israele con i suoi santi.

domenica 1 febbraio 2009

INVITO A RISPONDERE ALL’ANNUNCIO DELLA SALVEZZA - ISAIA 55-56

Lo Spirito Santo annuncia per bocca di Isaia una grande liberazione o salvezza. Questa salvezza verrà attuata dal Servo del Signore (Gesù di Nazaret). Chi riguarda questa salvezza? Innanzitutto riguarda la sposa ripudiata del Signore degli Eserciti (Israele) che si ravvede del suo adulterio spirituale per volgere nuovamente il suo cuore al Dio Vero (54:6-8). In secondo luogo la salvezza riguarda tutte le nazioni che desiderano unirsi al Signore (56:1-7) abbandonando i loro costumi immorali per camminare sulla strada di Dio.
Quindi questa salvezza riguarda tutti coloro che hanno sete e fame del Dio Vivente (55:1). Ma da che cosa dobbiamo essere salvati? Nel più immediato contesto profetico il popolo d’Israele doveva essere liberato dalla cattività babilonese, ma, spiritualmente esso come tutte le altre nazioni doveva essere salvato dall’ira di Dio che “si rivela dal cielo sopra tutti gli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia” (Rm 1:18). Infatti l’unica causa dell’esilio di Israele era il suo peccato (50:1, “per le vostre colpe siete stati venduti”).
Il prezzo di una tale liberazione è già stato pagato (53), perciò questa può essere offerta gratuitamente a tutti coloro che la desiderano (55:2).
A tutti coloro che accettano questo dono da Dio vengono promessi: la vita, un patto eterno e le grazie stabili promesse a Davide (55:3). Davide (ovvero la sua discendenza) è stabilito da da Dio come testimonio, principe e governatore dei popoli.
Quali sono “le grazie stabili promesse a Davide”? Nel capitolo 7 del secondo libro di Samuele leggiamo le promesse che Dio fece a Davide. Tra queste al versetto 16 leggiamo: “La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre”. La casa è la famiglia: la famiglia di Davide non verrà mai meno ed esisterà per sempre. Anche l’autorità regale di questa genealogia non verrà mai meno (il regno) e un governo eterno e stabile (il trono) verrà instaurato in modo sicuro perché questo è l’impegno di Dio (patto). Prima di morire Davide passò il regno al figlio Salomone la cui dinastia, nonostante le divisioni in Israele, governò su Giuda fino alla cattività Babilonese, poi fu rigettata da Dio (Gr 22:30). Dio resta però fedele alla promessa fatta a Davide: Gesù discende dalla stirpe di Davide, da un figlio di Davide di nome Natan da cui discende Maria. Giuseppe, padre legittimo ma non biologico, discende da Salomone e legalmente conferisce autorità regale a Gesù. Si realizzerà dunque nel dettaglio la profezia quando Gesù Cristo, già coronato di spine, morto in croce, risuscitato e asceso al cielo, ritornerà glorioso per essere re d’Israele e di tutta la terra. Egli infatti è secondo la carne figlio di Davide, ma solo per “adozione” figlio di Salomone. (Rm 1:3; Lu 3; Mt 1; Lu 1:31-33; At 2:29-32; At 15:14-17).
Le “grazie stabili promesse a Davide” sono patrimonio di tutti coloro che accolgono la salvezza che Dio ha acquistato per noi quando Gesù si è offerto al posto nostro per pagare la condanna del nostro peccato sul Golgota (“il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti”). Infatti l’apostolo Giovanni scrive nel quinto capitolo dell’Apocalisse:

“nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro, né guardarlo. Io piangevo molto perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro, e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli». Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio, mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono. Quand'ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d'oro piene di profumi, che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra».
E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era di miriadi di miriadi, e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: «Degno è l'Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l'onore, la gloria e la lode». E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: «A colui che siede sul trono, e all'Agnello, siano la lode, l'onore, la gloria e la potenza, nei secoli dei secoli». Le quattro creature viventi dicevano: «Amen!» E gli anziani si prostrarono e adorarono.

Rispondere alla chiamata della salvezza non solo ci purifica dai nostri peccati, ma anche ci eleva al rango regale (e sacerdotale) di Cristo. Quale privilegio appartenergli! Non vale forse la pena di rispondere all’invito che Dio ci sta facendo in Isaia 55?

6 Cercate il SIGNORE, mentre lo si può trovare;
invocatelo, mentre è vicino.
7 Lasci l'empio la sua via
e l'uomo iniquo i suoi pensieri;
si converta egli al SIGNORE che avrà pietà di lui,
al nostro Dio che non si stanca di perdonare.
8 «Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
né le vostre vie sono le mie vie»,
dice il SIGNORE.
9 «Come i cieli sono alti al di sopra della terra,
così sono le mie vie più alte delle vostre vie,
e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri.
10 Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano
senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
affinché dia seme al seminatore
e pane da mangiare,
11 così è della mia parola, uscita dalla mia bocca:
essa non torna a me a vuoto,
senza aver compiuto ciò che io voglio
e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata.
12 Sì, voi partirete con gioia
e sarete ricondotti in pace;
i monti e i colli proromperanno in grida di gioia davanti a voi,
tutti gli alberi della campagna batteranno le mani.
13 Nel luogo del pruno si eleverà il cipresso,
nel luogo del rovo crescerà il mirto;
ciò sarà per il SIGNORE un motivo di gloria,
un monumento perenne che non sarà distrutto».

mercoledì 10 dicembre 2008

Il matrimonio tra Dio ed Israele

Dal capitolo 54 al 66 la visione di Isaia si volge alla restaurazione finale di Israele che avverrà per mano del Servo del Signore.
Dio si rivolge ad Israele come il marito alla propria sposa. Nel capitolo 50 (1) il Signore consegna alla sposa la lettera di divorzio a causa dei suoi misfatti. Egli la allontana dalla sua presenza perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo (Deuteronomio 24:1). Dio ama Israele e l’ha fidanzato fin dalla sua giovinezza (Geremia 2:1), ma Giacobbe rifiuta la sottomissione al vero Dio e si prostituisce con gli dei pagani, seguendo i costumi degli empi che popolano le nazioni (Geremia 2:20,24) diventando addirittura maestro di malvagità (Geremia 2:32-33). Israele è stata ripudiato a causa dei suoi numerosi adulteri (Geremia 3:8).
La situazione di Israele nei confronti di Dio venne rappresentata anche dalla vita del profeta Osea il quale venne chiamato da Dio a sposare una donna che poi si sarebbe macchiata d’adulterio (Osea 1:2,3). La protesta di Osea verso questa donna è grave e simboleggia l’amarezza nel cuore di Dio per il peccato d’Israele (Osea 2:2-7). Anche Osea manda via la moglie, ma questa separazione non ha come fine quello di “rifarsi una vita” bensì di abbandonare la moglie alla misera strada che si è scelta affinché si renda conto che “era molto meglio la vita di prima” (Osea 2:7). Osea tornerà da sua moglie per riscattarla dall’uomo a cui si era venduta e tornare ad amarla. Il comportamento del profeta stride con l’atteggiamento comune che un uomo del mondo o un Israelita praticante della legge avrebbe o avrebbe avuto al suo posto. La legge stessa vietava di ricongiungersi ad una donna cacciata che si fosse unita ad un altro (Deuteronomio 24). 
L’amore di Osea per Gomer e l’amore di Dio per il suo popolo sono più grandi di una legge che venne stabilita per mettere un freno alle conseguenze della durezza dei cuori degli uomini (Mr 10:4-9). L’amore di Dio “non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1Co13:4,7) e non viene mai meno (1Co13:8).
Ecco cosa dice l’Eterno alla sposa della sua giovinezza che si pente e torna a lui (Isaia 54):

4 Non temere, perché tu non sarai più confusa;
non avere vergogna, perché non dovrai più arrossire;
ma dimenticherai la vergogna della tua giovinezza,
non ricorderai più l'infamia della tua vedovanza.

5 Poiché il tuo creatore è il tuo sposo;
il suo nome è: il SIGNORE degli eserciti;
il tuo redentore è il Santo d'Israele,
che sarà chiamato Dio di tutta la terra.

6 Poiché il SIGNORE ti richiama come una donna abbandonata,
il cui spirito è afflitto,
come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata», dice il tuo Dio.

7 «Per un breve istante io ti ho abbandonata,
ma con immensa compassione io ti raccoglierò.

8 In un accesso d'ira, ti ho per un momento nascosto la mia faccia,
ma con un amore eterno io avrò pietà di te»,
dice il SIGNORE, il tuo salvatore.
10 Anche se i monti si allontanassero
e i colli fossero rimossi,
l'amore mio non si allontanerà da te,
né il mio patto di pace sarà rimosso»,
dice il SIGNORE, che ha pietà di te.

APPLICAZIONI:
  • L’esemplare matrimonio tra Dio ed Israele ci parla di un amore “soprannaturale” di cui ogni uomo credente guidato dallo Spirito Santo vorrebbe e/o dovrebbe amare la propria moglie. L’uomo è chiamato ad amare la moglie come Cristo ha amato la chiesa dando se stesso per lei (e per il suo peccato). 
  • Il vincolo matrimoniale di Dio con Israele ha un valore eterno e prima della fine dei tempi questo popolo tornerà ad adorare in sincerità il Signore degli Eserciti (Is 54:13,17)

mercoledì 19 novembre 2008

Il Libro del Profeta Isaia: il punto sul nostro studio

Il profeta Isaia inizia il suo servizio di profeta in un momento imprecisato del regno di Uzzia re di Giuda (790-739 a.C.) (capitolo 1) probabilmente alla sua morte (739) (capitolo 6) e prosegue sicuramente fino alla morte di Sennacherib re d’Assiria (681) (capitolo 37) avvenuta ai tempi di Ezechia re di Giuda. Il suo servizio è dunque durato almeno 40 anni.

Isaia era sposato con una donna (8:3) dalla quale ebbe due figli. Il primo si chiamava “Un residuo ritornerà” (7:3) il cui nome era una consolazione per il re Acaz il quale temeva la coalizione siro-israelita (2Re16:5). Il secondo si chiamava “Affrettate il saccheggio, presto al bottino” (8:3) che nel suo nome annunciava la sconfitta di questa coalizione da parte dal re di Assiria. Isaia e la sua famiglia erano per Giuda un presagio degli eventi futuri con i loro nomi e con la loro vita (8:18;20:3 nel quale Isaia viene fatto camminare mezzo nudo per simboleggiare la presa dell’Etiopia e dell’Egitto da parte dell’Assiria). Isaia parla poi di un terzo figlio “Dio con noi”, Emmanuele (7:14). Egli non è figlio di Isaia, ma figlio di Giuda (8:8). Egli nascerà da una vergine e porterà la luce in Israele partendo dalla Galilea (8:23), sulle sue spalle riposerà il dominio e sarà chiamato con nomi ineffabili come Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace (capitolo 9). Egli, ripieno dello Spirito di Dio giudicherà l’ingiustizia e governerà da Israele tutte le nazioni (capitolo11).

Abbiamo diviso il libro di Isaia in tre principali blocchi.
Il primo blocco dal capitolo 1 al 35 ha come tema ricorrente il castigo di Dio: Dio inizia riprendendo e giudicando il suo popolo. Samaria è destinata a cadere nelle mani dell’Assiria a causa del suo peccato da cui non si ravvede. Giuda viene prima preservata dall’attacco dell’alleanza tra Siria e Samaria, poi dall’invasione dell’Assiria, ma non potrà resistere alla deportazione di Babilonia. Il giudizio di Dio parte dal suo popolo per poi estendersi a tutte le nazioni. Gli oracoli di Isaia parlano del giudizio immediato e finale di tutte le nazioni (capitoli 13-24) e al capito 24 viene annunciato il giudizio di tutto il mondo. Tuttavia il castigo di Dio è a più riprese messo in contrasto con il regno di gloria e prosperità che egli ha riservato per tutti coloro che vogliono fare la pace con lui (Isaia 27:5). Non ci siamo soffermati sui singoli giudizi di ogni nazione ma abbiamo fatto qualche riflessione su Babilonia per l’importanza simbolica, spirituale ma anche politica che questa nazione riveste nelle Scritture e quindi nella storia dell’umanità.
Il secondo blocco è costituito dai capitoli 36-39 e fa da ponte tra il primo e il terzo blocco. Questa porzione biografica del re Ezechia illustra come alcune profezie di siamo realizzate quando Isaia era ancora in vita e descrive l’orgoglio spirituale di Ezechia che precederà la cattività Babilonese. Isaia non era più in vita ai tempi della deportazione in Babilonia eppure la descrisse anticipatamente.
Il terzo blocco (40-66), benchè scritto prima dell’esilio, sembra essere stato scritto ad un popolo già deportato per consolarlo ed annunciargli un’imminente liberazione con dovizie di particolari. Meraviglia di leggere il nome di Ciro (capitoli 44-45) 150 anni prima della sua venuta, quando egli non era ancora nel grembo della madre ma solo nei pensieri di Dio dove Egli lo predestinava a liberare il suo popolo dalla prigionia Babilonese. Ciro è descritto come un unto un messia. Ma Isaia volge la sua visione oltre questa grande liberazione politica. Dio nei primi capitoli di questo blocco viene descritto in tutta la sua superiorità al cospetto di tutti gli idoli della terra, come colui che solo può annunciare le cose prima che germoglino. E tra queste cose c’è la venuta di un servo di Dio, che non sarà solo un liberatore politico per Israele ma la luce per tutte le nazioni (capitolo 42,49,50,52,53). Ci siamo dunque lungamente soffermati sui versetti 52:13-53:12 per l’importanza del messaggio che contengono: essi infatti annunciano anticipatamente il tema salvifico del vangelo parlando della gloria del servo, della sua estrema umiliazione, della sua scelta volontaria di sostituirsi al peccatore, della sua morte vicaria, della sua vittoria sulla morte tramite la resurrezione. Il servo sofferente diventa per questo oggetto di ammirazione da parte di tutte le nazioni e riceve da Dio un popolo in premio e una gloria superiore a quella che gli apparteneva prima che accettasse la chiamata di Dio per essere l’espiazione dei peccati degli uomini. Dal capitolo 54 al 66, infine la visione si volge alla restaurazione finale di Israele che avverrà per mano di quel Servo, da donna ripudiata e abbandonata dopo essere passata per il giudizio Israele sarà gloriosa su tutte le nazioni. Saranno questi i capitoli oggetto dei nostri prossimi studi.

Applicazioni:
• Dio odia il peccato ma è pronto a sacrificarsi per
chi si pente e desidera fare la pace con lui.
• La sofferenza precede la gloria. Questo
principio si applica ad Israele, al Cristo e alla
vita del cristiano.